(28/5/24) Proponiamo di seguito l’omelia tenuta dal card. Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani, lo scorso sabato 25 maggio, nelle Grotte Vaticane, in occasione della Messa mensile nella memoria di Benedetto XVI.
IL BAMBINO COME MODELLO DI FEDE[1]
Kurt Cardinale Koch
In tutti i tempi, gli uomini hanno scelto modelli in base ai quali orientare la propria vita. Anche oggi abbiamo bisogno di modelli. I modelli che scegliamo rivelano indubbiamo il modo in cui comprendiamo noi stessi. I modelli che occupano il centro della scena nella società odierna sono per lo più persone di successo: negli affari, nello sport, nella politica e spesso anche nella Chiesa. Se vogliamo sapere esattamente chi è un modello nel mondo di oggi, basta guardare gli spot pubblicitari in televisione. Viene messo in primo piano chi è felice, chi ha successo, chi si è affermato nella vita.
In questa atmosfera socialmente malsana, chi penserebbe di prendere un bambino come modello per la propria vita? Non lo penseremmo neanche leggendo, nel Vangelo odierno, il comportamento dei discepoli di Gesù, che respingono bruscamente coloro che portano i propri figli da Gesù perché li benedica. Gesù, invece, si rivolge ai discepoli dicendo: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio”. E ne dà anche la ragione più profonda: “chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10,14b-15).
È un bambino che Gesù presenta ai suoi discepoli come modello. Egli stesso sceglie per sé il bambino come modello, tanto da identificarsi con esso, come si legge in un altro brano del Vangelo di Gesù: “chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me” (Mt 18,5). L’identificazione di Gesù con un bambino arriva a tal punto che Lui, Gesù Cristo, il Figlio del Dio eterno, si fa bambino per venire nel nostro mondo. Infatti, volendo diventare uomo tra gli uomini, non intende diventarlo solo un poco, ma pienamente, assumendo tutte le dimensioni dell’essere umano, tranne il peccato. Si fa uomo in modo molto concreto, come un bambino. Perché non vuole essere in una condizione migliore del membro più debole della nostra società, ovvero del bambino.
Gesù ovviamente sa quale messaggio un bambino porta dentro di sé e, soprattutto, quale messaggio vuole trasmettere a noi adulti. Nell’esperienza umana, il bambino è contraddistinto dal fatto di essere completamente dipendente dagli altri. Il bambino è quell’essere vivente il cui primo suono nella vita terrena è il pianto, è quell’essere vivente che viene al mondo con le lacrime e i cui primi gesti sono mani tese che cercano protezione e sicurezza. Il bambino è povertà, dipendenza e impotenza in modo radicale, aspetti che toccano direttamente noi esseri umani e ci invitano a trattarlo con amore. Nel farsi uomo come bambino, Gesù vuole essere, nel nostro mondo, un essere vivente che dipende dal nostro amore protettivo. Vuole assumere questa condizione di dipendenza per risvegliare in noi uomini la dedizione e l’amore per lui in questo stato di essenziale bisogno.
Gesù Cristo non solo si è fatto uomo in un bambino, ma si è fatto uomo come bambino. In questo bambino non solo si è mostrato, ma si è fatto carne. Da ciò capiamo nella maniera più chiara chi è il Figlio di Dio. Gesù Cristo si è incarnato in un bambino indifeso e inerme, così che possiamo riconoscere come egli è: la potenza del Figlio di Dio è al suo massimo grado proprio nella sua fragilità di bambino che dipende dall’aiuto e dall’amore altrui. Il Figlio unigenito di Dio - un piccolo bambino: questo è il più grande paradosso che la fede cristiana ci offre, mentre ci invita ad approfondire il motivo per cui Dio ha deciso di diventare un bambino.
Una risposta utile ci è stata proposta dal teologo medievale Guglielmo di Saint Thierry, al quale Papa Benedetto XVI amava riferirsi per ricordarci il profondo mistero del Dio che si fa bambino. Guglielmo di Thierry era convinto che la grandezza e la maestà di Dio avessero ripetutamente spinto gli uomini a resistergli, fin da Adamo, poiché si sentivano limitati nella loro umanità e minacciati nella loro libertà. Dio avrebbe scelto dunque una nuova strada, decidendo di farsi lui stesso bambino, per mostrarsi piccolo, debole e bisognoso del nostro amore e per diventare così uno di noi. Dio lo avrebbe fatto confidando che noi uomini avremmo capito che la nostra libertà era rispettata, che non ci saremmo più sentiti minacciati da lui e che avremmo potuto solo amare Dio. Da allora, non dobbiamo più avere paura di Dio, ma siamo chiamati piuttosto a mostrargli una profonda riverenza.
Nella fragilità indifesa di un bambino, Dio viene a noi esseri umani, si presenta a noi come colui che supplica, che chiede il nostro amore. E si aspetta, a sua volta, che gli andiamo incontro nella libertà e nell’amore, ovvero che anche noi diventiamo bambini e incontriamo Dio con gli occhi dei bambini. Davanti a nessun altro al mondo, se non a Dio, l’uomo può infatti fare esperienza di sé come un bambino che dipende completamente da Dio e che gli deve la vita fino all’ultima fibra del suo essere. Come credenti, siamo del tutto dipendenti da Dio e dalla sua opera creatrice, e lo esprimiamo soprattutto attraverso la preghiera. In senso cristiano, la preghiera è possibile solo nell’atteggiamento di fondo che è l’essere bambini davanti a Dio.
Pensiamo ancora una volta al bambino nella nostra esperienza umana. Scopriremo che il bambino è caratterizzato soprattutto da due comportamenti: il coraggio e l’umiltà. Il bambino ha il coraggio di fare domande senza preoccuparsi; e ha l’umiltà di ascoltare dai genitori, bendisposto, le risposte, che poi di solito innescano altre domande. In ciò Papa Benedetto XVI ravvede anche l’atteggiamento di base del credente: il credente può e deve avere il coraggio di porre tutte le domande che sorgono, urgenti, alla luce del mondo odierno. Allo stesso tempo, però, deve avere l’umiltà di non inventarsi da solo le risposte, ma di accogliere con gratitudine infantile le risposte che ci vengono offerte nella rivelazione di Dio. Il credente, infatti, non parla di Dio “come di una ipotesi del nostro pensiero”. Egli piuttosto può parlare di Dio solo “perché Dio stesso ha parlato con noi”[2].
Solo quando il coraggio di porre domande e l’umiltà di ricevere con gratitudine la risposta di Dio si combinano in modo credibile, i credenti vivono quella figliolanza che Gesù si aspetta da loro, come abbiamo letto nel Vangelo odierno. E solo così si conformano nella loro vita al mistero profondo del farsi bambino di Dio, che ci dà sempre conforto e fiducia.
Lettura: Gc 5, 13-20
Vangelo: Mc 10, 13-16
[1] Omelia durante la messa commemorativa per Papa Benedetto XVI nella cripta della Basilica di San Pietro, il 25 maggio (il sabato della VII settimana) 2024.
[2] Benedetto XVI, Discorso ai membri della Commissione teologica internazionale, il 5 dicembre 2008.