L'omelia del card. Koch alla Messa per Benedetto XVI

card. Koch

(26/2/24) Proponiamo di seguito l’omelia tenuta dal card. Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani, lo scorso sabato 24 febbraio, nelle Grotte Vaticane, nella Messa mensile nella memoria di Benedetto XVI.

 

 

 

RIMANERE IN AMICIZIA CON GESÙ CRISTO[1]

 

 

Kurt Cardinale Koch

 

Gesù non chiama i suoi discepoli servi, ma amici. Questo è il dono prezioso e portatore di gioia che Gesù fa ai suoi discepoli e quindi anche a noi, un dono di cui non saremo mai abbastanza grati, un dono che Papa Benedetto XVI, vivendolo pienamente, ha voluto trasmettere agli uomini con la sua personale testimonianza di fede, la sua riflessione teologica e la sua opera pastorale, al fine di far entrare anche gli altri in questa amicizia con il Signore.

 

L’amicizia di ogni battezzato con Cristo

Per comprendere e accogliere questo grande dono, dobbiamo innanzitutto ricordare che, sebbene l’amicizia sia un dono reciproco, secondo il Vangelo odierno (Gv 15, 9-17) essa nasce completamente dall’iniziativa del Signore: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. Il Signore racconta ai suoi discepoli tutto ciò che ha udito dal Padre. E dimostra il suo amore per loro proprio donando per loro la sua vita. Tutto ciò significa che solo dal Signore possiamo ricevere l’amicizia e siamo invitati a corrispondervi.

 

La nostra risposta consiste in un’unica parola: “rimanere”. A prima vista essa potrebbe sembrare marginale. Tuttavia, questa impressione scompare quando ci rendiamo conto che difficilmente nel Vangelo di Giovanni troviamo una parola che ricorre tanto spesso quanto la parola “rimanere”. Solo nella pericope di oggi ricorre ben quattro volte, in una posizione centrale: “Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”. Così, rimarrà anche il frutto dei discepoli. Il Vangelo ci invita a riflettere su cosa sia o su cosa debba essere il nostro “rimanere” come risposta all’amicizia di Gesù.

 

In primo luogo, l’amore amichevole rende curiosi, nel senso migliore del termine. Chi è amico di qualcuno vuole conoscere il suo amico sempre meglio; una volta trovato, continuerà comunque a cercarlo. Affinché possiamo conoscere Cristo sempre di più, Papa Benedetto XVI ci ha consigliato una profonda meditazione sulla Sacra Scrittura, nella quale sono raccolte le lettere di amicizia indirizzateci da Cristo.

 

A ciò va aggiunta una seconda osservazione: le amicizie devono essere curate, se vogliamo che rimangano vive. Un’amicizia rischia di raffreddarsi se gli amici non continuano ad incontrarsi. Anche e soprattutto l’amicizia con Cristo richiede un incontro quotidiano, in particolare nella celebrazione dell’Eucaristia. Essa ravviva in noi la consapevolezza del mistero di Cristo, consistente nel fatto che, proprio dando la vita per i suoi amici, Cristo è il Vivente.

 

Da quanto appena detto dipende, in terzo luogo, il fatto che un’amicizia rimane fruttuosa solo se un amico non si limita a parlare del suo amico, ma soprattutto parla con il suo amico. Questa priorità vale anche e soprattutto per l’amicizia con Cristo: il nostro parlare di Lui è credibile solo se nasce sempre dal parlare con Lui e sfocia di nuovo nel parlare con Lui. La preghiera è fede che parla e che si esprime al cospetto di Cristo. Molto più importante della teologia è dunque la dossologia della preghiera e della liturgia.

 

Il servizio apostolico di amicizia a favore del servizio a Cristo

Solo in questa triplice dimensione possiamo rimanere nell’amicizia con Cristo, fondata nel nostro battesimo. Ciò che vale per tutti i battezzati vale in modo particolare per il successore degli apostoli e soprattutto per il successore di Pietro chi è chiamato di essere testimone della morte e della risurrezione del Signore.

 

Ma si può essere testimone solo se si mantiene un contatto intenso e si vive in ​​amicizia con la persona di cui si è testimone. Come Gesù ha scelto i dodici affinché rimanessero innanzitutto con Lui (cfr. Mc 3,14), così anche il successore degli apostoli è chiamato e tenuto a ricercare continuamente il dialogo con il Signore nella solitudine, a incontrarlo e a rimanere nella preghiera, per chiedergli quale sia la sua volontà. Infatti, il tempo che il successore degli apostoli trascorre nella preghiera amichevole con Cristo non è assolutamente tempo sprecato, ma va a beneficio delle persone a lui affidate e, prima di tutto, va a beneficio di lui stesso.

 

L’amicizia del successore degli apostoli con Cristo è di fondamentale importanza perché egli è chiamato a servire Gesù Cristo. Il suo servizio è servizio affinché Gesù Cristo possa svolgere il suo servizio alla Chiesa e donare alla Chiesa la sua presenza. La Chiesa cattolica è quindi convinta che il successore degli apostoli agisca nel nome e dietro incarico di Cristo, cioè “in persona Christi”, soprattutto nella celebrazione dei sacramenti e in particolare nella Santa Eucaristia. Ciò che fa ufficialmente nel suo ministero, egli deve confermarlo concretamente nella vita.

 

Solo così il successore degli apostoli potrà vivere credibilmente la sua vocazione, come già Papa Benedetto ha sottolineato nell’omelia tenuta durante la propria consacrazione a Vescovo di Monaco e Frisinga, dicendo: “Il vescovo non agisce in nome proprio, ma è il fiduciario di un altro, di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Non è un manager, un capo per sua grazia, ma è l’incaricato di colui che sostiene.” Joseph Ratzinger ha svolto questo servizio come teologo, vescovo e papa in modo credibile, perché ha sempre vissuto e operato rimanendo in amicizia con Cristo.

 

Noi tutti siamo convinti che questa amicizia si estenderà oltre la morte terrena nella vita eterna, e rimarrà – nel senso giovanneo. Con questa fede preghiamo il Signore affinché incontri il suo fedele servitore Benedetto XVI in maniera definitiva, incontri l’amico che lo ha cercato per tutta la vita, e che questa amicizia rimanga, per l’eternità. Amen.

 

Lettura:   Dt 26,16-19

Vangelo: Gv 15,9-17

 

 

 

[1] Omelia per la Santa Messa in memoria di Papa Benedetto XVI nelle Grotte Vaticane, il 24 febbraio 2024.