L’attualità della “Deus caritas est”, a dieci anni dalla sua pubblicazione

cop. Atti Deus caritas est

(24 febbraio 2016) “Il presiedere nella fede e nell’obbedienza è legato inscindibilmente al presiedere nella carità”. È la frase, riportata nella quarta di copertina, che fa da compendio al volume “Deus caritas est. Porta di Misericordia”, che riunisce gli Atti del Simposio internazionale svoltosi a Roma dal 19 al 21 novembre 2015, nel decimo anniversario della prima enciclica di Benedetto XVI. Da oggi in libreria per i tipi dell’Editrice Vaticana, il volume è curato da monsignor Markus Graulich e da don Ralph Weimann.

La raccolta si apre con il contributo del cardinale Kurt Koch sulla Deus caritas est nel contesto del Pontificato di Papa Benedetto. Il cardinale Paul Josef Cordes sottolinea i risvolti dell’enciclica nell’opera caritativa della Chiesa, mentre don Vincent Twomey presenta la Deus caritas est nel contesto del lavoro teologico di Joseph Ratzinger.

Seguono interventi che approfondiscono certi insegnamenti dell’enciclica, soffermandosi in particolare sulla prospettiva e il concetto di verità in Deus caritas est (cardinale Gerhard L. Müller); sull’idea di unità dell’amore, sulla centralità di Cristo e sull’antropologia integrale dell’homo viator (cardinale Angelo Scola); sul martirio come suprema testimonianza d’amore (Ralph Weimann); sui risvolti dell’enciclica nella vita sociale e politica (Giorgio Napolitano); sul nesso tra l’enciclica e l’Anno Santo della Misericordia indetto da Papa Francesco (monsignor Rino Fisichella).

Il volume si chiude con cinque contributi che fanno vedere la ricezione e le prospettive dell’enciclica nei diversi continenti: Africa (cardinale Robert Sarah), America Latina (monsignor Mariano Fazio), Asia (cardinale Malcom Ranjith), Europa (Justinus Pech, OCist), Stati Uniti e Australia (Romanus Cessario, OP).

In occasione della pubblicazione, proponiamo l’intervento del senatore Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica italiana, tenuto il 20 novembre 2015 presso la Pontificia Università Lateranense, nel corso di una tavola rotonda sulla Deus caritas est.

 

di Giorgio Napolitano

Quando, a nome della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger–Benedetto XVI, il professore Pierluca Azzaro venne ad invitarmi a partecipare a questo incontro, diedi subito risposta positiva. Non c’è da meravigliarsi; e questo non perché io sopravvaluti le mie forze e le mie capacità di comprendere anche problematiche e fenomeni che non appartengono alla mia formazione culturale. Purtroppo, e lo dico senza alcuna ironia, non ho potuto seguire i corsi di Teologia dogmatica tenuti dal professor Ratzinger in varie università tedesche; quindi sono consapevole dei miei limiti. Però l’immediatezza della mia adesione a questo invito certamente deriva dal rapporto istituzionale e tradizionale tra il Capo dello Stato italiano e il Capo della Chiesa cattolica, e anche da una speciale relazione che si è stabilita tra noi negli anni, che hanno quasi coinciso, del pontificato di Benedetto XVI e della presidenza della Repubblica a me affidata.

Nello scrivere qualche parola di prefazione a una raccolta di scritti giuridici importanti sul pensiero giuridico-politico, appunto, di Benedetto XVI, ho parlato di una confidenza e di una sintonia che si è stabilita tra noi e che forse ha sorpreso anche noi stessi: perché, in astratto, potevamo pensarci molto lontani; poi, invece, ci siamo trovati molto vicini. Questo innanzitutto, io credo, per la generosità di Benedetto XVI, ma anche per delle affinità temperamentali a cui in quella prefazione ho fatto cenno e che in Benedetto subito emergono: il prediligere la pacatezza, l’obiettività e riflessività.

Inoltre tra noi vi sono naturalmente anche affinità storico-biografiche, perché siamo stati entrambi pienamente inseriti nella storia grande e terribile del XX secolo, siamo entrambi figli del Novecento, e per di più figli del Novecento appartenenti a due Paesi che sono stati al centro di drammatiche e tragiche vicende nel corso del secolo scorso: Italia e Germania, due Paesi che hanno dovuto, per così dire, purificarsi, rinnovarsi nel profondo, darsi nuovi assetti istituzionali, nuove costituzioni; Paesi che hanno dovuto anche dar conto dei periodi più bui del proprio passato, cercando di costruire qualcosa di nuovo che poi ha trovato espressione nella grande scelta, condivisa dapprima da sei Paesi e poi da un numero sempre più grande, dell’Europa unita. Essendomi occupato e occupandomi anche in questo periodo di riflessioni sullo stato del processo di unificazione europea, vorrei ricordare quello che Benedetto XVI in pubblico, e mi permetto di dire anche in privato, attraverso qualche momento di corrispondenza per me illuminante, ha sempre definito con lungimiranza la triplice ispirazione dell’Europa, dell’europeismo, di una visione europea unitaria. Egli ha sempre parlato di una ispirazione nata a Gerusalemme, ad Atene e a Roma. In una di queste occasioni, egli ha usato i termini ispirazione “biblica”, ispirazione greca – che è quella del “logos”– e ispirazione di Roma, intesa come Stato di diritto e dominio della legge; ha quindi parlato della centralità, per i valori europei, del concetto di persona di matrice cristiana. Ho considerato illuminante questo suo contributo e credo che questo ci abbia molto avvicinato.

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